Vi capita mai di non sentirvi all’altezza?
A me sì, e non solo per colpa del mio metro e cinquantacinque…
Grazie alla libreria negli ultimi anni mi sto togliendo qualche soddisfazione partecipando a bellissimi incontri, ma non riesco mai a godermi le serate alle quali mi invitano per colpa della mia insicurezza.
Tu insicura? Naaaaaa. Io insicura? Eccome!
Sto cercando di abituarmici, ma ho tuttavia una tattica per sopravvivere alla serata senza stare fissa con lo sguardo sulle mie scarpe. Il segreto è: cercare gli angoli.
La buon’anima di Patrick Swayze mi perdonerà, lui che ha tanto lottato perché: nessuno può mettere Baby in un angolo. Io gli angoli li bramo!
Io sono diventata esperta mondiale di angoli. Le regole per scoprire quello perfetto sono semplici:
– mai scegliere l’angolo più vicino alla porta di ingresso, vedresti la sfilata di tutti gli invitati ed entreresti in ansia prima del dovuto;
– mai scegliere l’angolo in fondo a destra perché si sa… in fondo a destra nel 99% dei casi c’è la stanza più ambita, il bagno, e quindi assisteresti anche qui alla sfilata degli ospiti;
– mai scegliere l’angolo vicino al buffet, passeresti per la scroccona degli aperitivi;
– esclusi quelli sopra descritti, gli altri vanno bene.
Ma non preoccuparti, sarà l’angolo giusto a chiamarti e a sceglierti.
A me è successo così qualche mese fa, a un evento. Lo vedo, mi aspetta, è lui, l’angolo perfetto tra una libreria e un tavolinetto con della frutta secca. Resto lì tutta la sera osservando gli invitati, bevendo vino rosso e mangiando noccioline; un bicchiere, una nocciolina, un bicchiere un’altra nocciolina. C’è qualcosa di peggio di una timida? Certo: una timida vegana!
Lo so avete ragione: un vegano a un aperitivo a buffet dovrebbe avere il buon cuore di non andare. Ma io vado e non disturbo dal mio angolo giuro!
Tornando alla serata delle noccioline, a un certo punto il vino ha fatto effetto e mi sono rilassata, sorridevo anche, cose da pazzi! La serata è volata senza che me ne accorgessi. Arriva l’ora di andare. Sono praticamente in strada e mi accorgo di aver dimenticato la sciarpa nel mio angolino, così torno indietro riattraverso casa passando contro le pareti, ma non troppo per non far cadere qualche costosissimo quadro, ma nel mio angolo la sciarpa non c’è. Inizio a cercarla, sposto una sedia, scosto la tovaglia del tavolo con le noccioline. Una signora elegantissima mi chiede se abbia bisogno di aiuto, e si mette a cercare con me. Quando a momenti si inginocchia sotto il tavolo, la blocco e dico che non importa, che è solo una sciarpa e la ringrazio.
Ripercorro al contrario la strada appena fatta, un taxi mi aspetta. Salgo apro la borsa per prendere il portafoglio e cosa vedo? La mia sciarpetta, tolta al terzo bicchiere di vino perché avevo caldo. Sorrido a Elena, la mia amica, che ha trascorso la serata con me. Perché gli angoli servono, ma un’amica con la quale fingere di parlare di massimi sistemi e finanza e buco dell’ozono quando ti senti osservata serve ancora di più.
Tutta questa introduzione per dire che qualche giorno fa ho ricevuto l’invito a un evento privato per festeggiare l’uscita di un romanzo giallo di una nota casa editrice e la prima cosa che ho fatto è stata chiedere a Elena: amica mi accompagni?
Anche questa serata entrerà nella storia, ma non per il vino, le noccioline o le sciarpe smarrite. Entrerà nella storia perché ho deciso di indossare i tacchi, che poi li abbia dimenticati a casa e mi sia presentata con gli anfibi, è un altro discorso.
Elena mi raggiunge in libreria e…
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Parvenu. Ma neanche. Saranno due imbucate. Dovrò avvisare la sorveglianza?
Oh Cielo!
Da quando ci sono i comunisti al governo può pure capitare che in una serata esclusiva come questa facciano entrare la plebaglia. Certo al Rotary non sarebbe successo di vedere una tizia con gli scarponi! E l’amica? Ma veramente ammettono donne che non portano la 36?! E quelle non saranno mica delle tette vere?!?!
Oh cielo!
Non vedevo delle tette non rifatte dal ’68!
Mi manca l’aria come quella volta che ho sorvolato il K2 in elicottero con la Giuggy. Allora, però, avevo un fucile per sparare ai koala (o era una caccia ai panda?!) ora sono disarmata.
Un alto goccio di champagne mi aiuterà a non pensarci. Del resto è questione di minuti, tra poco il GrandeAutore entrerà nella stanza e mi verrà incontro… 18 ore di beauty farm mi hanno fatto tornare come una splendida trentenne!
Eccolo! È lui… Ora i nostri sguardi si incroceranno, mi inclinerò leggermente per mettere in risalto la scollatura e…
OH CIELO…
Cosa fa?! Sorride e si dirige verso le due cose, le due tizie? La spilungona e quella uscita dal reality sulle fattorie?!
Svengo…
hai capito che bel finale? Evviva le spilungone e le ragazze con gli anfibi 😉
grazie per aver partecipato!
Cristina teneva fra le dita il bicchiere di plastica trasparente, e il vino bianco freddo lasciava intorno un umido alone di appannamento. Faceva caldo, in quell’angolo in cui stava seduta dall’inizio della serata ancora di più, e a nessuno veniva in mente di aprire almeno una finestra. Elena la raggiunse, i piedi le bruciavano, strangolati e nudi dentro a quelle tacco di quanti centimetri non lo sapeva nemmeno lei.
Lo scrittore, e poi com’è che si chiamava, ma era facile non ricordarsi il nome, che forse ci si ricordava più il titolo eclatante del libro, così geniale, che il libro avrebbe anche faticato a valerlo poi uguale, era ancora attorniato dai rumorosi e confusionari suoi improvvisati lettori del giorno dopo.
Cristina la libraia si rendeva conto che a un certo punto avrebbe dovuto superare quell’assurda e insulsa timidezza, e provare a fare qualcosa per avvicinarlo.
Chi erano tutti quelli lì che lo circondavano? Cosa volevano da lui? Cosa lui aveva da spartire con loro? E cosa loro con lui?
E che capperi! Lei era libraia! Libraia, che propone cioè ai clienti della libreria i libri che gli scrittori scrivono. Che li vende per loro, pure, soprattutto.
Quella lì, invece, per esempio, quella con la gonna con lo spacco che non si capiva se era più lunga la gonna o lo spacco, e con tutti quei capelli arrotolati di boccoli sino intorno alla bocca con il rossetto, chi era?
“Quella lì, l’hai vista?” disse, “vedi Elena… senti… lo senti anche il profumo? Arriva sin qui.”
“Ma che dici… sarà la fidanzata.”
“Scusa, ma con una fidanzata così, che libro lui può avere scritto?”
“Cristina, tu hai bevuto un po’. Dimmi che ca… cavolo c’entra la fidanzata.”
“Ah… vedi? È la fidanzata, allora.”
“Ma che ne so? Dicevo in generale.”
“Io no, Elena. Uno con una fidanzata del genere di che cosa potrà mai scrivere?”
“C’è l’editore. È quello con la cravatta, a fianco. Proviamo a farci avanti. Magari anche a parlarci. Magari, prima di fare qualche brutta figura…”
“In che senso?”
“Cristina, non mi sembri più tu: se c’è tutto ‘sto bailamme intorno a… ecco, come si chiama?… Va be’, se c’è tutto ‘sto bailamme non solo riguardo a lui e al suo libro, ma anche qui, un motivo ci sarà pure. Guarda, sembra si sia aperto un varco. Andiamo… sù! Ti sto vicino, ochei? E poi… mica male lo scrittore. Bellino, dai… Che dici? Forza, è il nostro momento.”
Tre passi, non uno di più, e così vicine a lui potevano ormai sentire l’odore del sudore caldo che emanava fradicio dalla sua camicia.
Qualcuno aveva acceso la musica. Una musica fuori luogo, invadente, prepotente, o invece sì, perfettamente in linea con quella baraonda di festeggiamenti. Ma per quale festa poi?
“Che c’entra una musica con un libro?”
“Oh cavoli Cristina, forse non era la serata giusta. Dovevo capirlo dal fatto che non hai messo le scarpe con il tacco che avevi promesso.”
“Ma un libro non è un film. Sono le parole che devono… essere musica per le orecchie.”
“Come sei poetica. Ma dai, tutte le volte che sono venuta con te, che mi hai portato a quei ritrovi musicali…”
“Ma erano ritrovi musicali… e parlare anche di libri lì era una buona occasione. E poi ‘sta musica fa schifo. Non ha senso. Se anche il libro è così siamo messi bene…”
“Quante copie hai venduto in libreria?”
“Un po’.”
“Dai…! Infiliamoci nel varco. È il momento. Buttiamoci.”
Nella bolgia, nel rumore della musica, nelle bocche che parlavano tutte insieme, nei complimenti falsi che risuonavano inascoltati, fu un suono sordo a esplodere, soffocando ovattato nel disordine di corpi che brindavano al successo, che non si capì cosa era successo.
La pistola cadde sul pavimento, fra briciole di pane e noccioline calpestate. Cadde lui, nella camicia sudata, bagnata, ora, di sangue.
Era finita, quella storia era finita. Finitalmente. Come quella di un qualunque libro. Di un qualunque uomo. Se ne poteva quindi ora scrivere benissimo un’altra.
“Cristina, che tragedia!… Andiamo via!”
“Andiamo… Sì. Forse è meglio.”
“Fermi tutti!” avanzando e sopravanzando l’avanzo di umanità sopravvissuto, due agenti avevano sbarrato il passaggio. “Lei venga con noi. Perché l’ha fatto, signorina?”
“Non ne potevo più. Non ce l’ho fatta. Con queste scarpe.”