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Non tutte le crisi si manifestano come esplosioni. Alcune sono lente, quasi dolci, cadute. È il caso della protagonista di questo romanzo, di cui mai si pronuncia il nome: fotografa delusa, disoccupata per scelta, dipendente dalla relazione saltuaria con un uomo sposato. Tutto questo vuoto che si è creata intorno, ne è convinta, è condizione necessaria per una rivoluzione esistenziale profonda. Previsione sbagliata: intenta a vagare con il corpo e con la mente ma senza mai uscire da Roma, trascorre le serate a casa della sua unica amica Emma, tenendo compagnia alle sue fragilità e al suo egocentrismo. Finché, inatteso, si manifesta un vecchio compagno di scuola, Dodi, che la attira in un misterioso laboratorio di spettroscopia, dove sta studiando una possibile correlazione tra la tendenza umana all’apatia e il depotenziamento della materia corporea. Può un corpo perdere informazioni fino a scomparire? Ma soprattutto, è giusto cercare chi non vuole essere trovato? Questo noir psicologico conturbante, a tratti sfuggente, ci attira nel vortice della ricerca di sé, illuminando i disagi e le solitudini del nostro tempo e costruendo una storia di allontanamento dal mondo dagli esiti inaspettati. Così, la limpida voce letteraria di Alberta Aureli ci seduce con un interrogativo: è davvero possibile che la somma di tutto ciò che esiste dentro e fuori di noi dia come risultato il vuoto? Forse no. Forse dopotutto possiamo essere salvi: a patto che qualcuno ci guardi.

 

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