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Pronipote di immigrati, messicano di origine ma americano di nazionalità, Francisco Cantù si potrebbe considerare un esempio di perfetta integrazione. Laureato in diritto internazionale, borsista Fulbright, traduttore, sembrava avviato a una brillante carriera come giornalista e studioso. Finché un giorno, sfidando le paure e le perplessità della sua famiglia, ha deciso di iscriversi all’Accademia di polizia per diventare una “guardia di frontiera”, convinto che, per capire fino in fondo il fenomeno dei flussi migratori e le storie di ordinaria e straordinaria umanità che lo sottendono, non servissero tanto libri, manuali o statistiche, quanto vedere le cose con i propri occhi. Ed è proprio la sua esperienza di agente di polizia al confine tra Stati Uniti e Messico, i suoi incontri con i nuovi “dannati della terra”, che Cantù racconta in Solo un fiume a separarci: i suoi “dispacci dalla frontiera”, pubblicati negli Stati Uniti lo scorso febbraio, proprio mentre l’amministrazione Trump rilanciava a cadenze regolari il progetto di un muro tra Stati Uniti e Messico, hanno suscitato clamore e un dibattito appassionato, che ha portato il libro alle prime posizioni nella classifica dei bestseller.
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