Storia delle mie ossa
Francesco Leto
Mondadori
“Storia delle mie ossa” è un’opera lunare, ironica, struggente. Un incontro fra il Tristram Shandy di Laurence Sterne e le creature innocenti e inquietanti di Tim Burton. A fare gli onori di casa è un narratore sbrigliato e impavido, introverso ed egocentrico a un tempo, determinato a raccontarci tutto di sé, a partire dalla sua educazione sentimentale in un paese fuori dal tempo, immobile e mitologico. Un’infanzia vissuta nell’assenza del padre e accompagnata da un trittico di donne che si sono prese cura, ognuna in modo inusuale, di un bambino pelle e ossa che fin da subito ha cercato di intercettare i tranelli dell’amore. E se è vero che impariamo l’amore da chi ci sta intorno, il protagonista dovrà carpirlo da Euridice, eterna donna bambina che si incanta davanti al poster di Luis Miguel. Dalla Pungolatrice, negoziante arcigna e lunatica, che centellina soldi e carezze. Dalla madre, la Rossa, un’eccentrica insegnante di francese col pallino dell’aerobica e del giardinaggio, i cui fiori però non fioriscono mai… In un ben orchestrato contrappunto tra rievocazione del passato e presente in Francia, dove dà lezioni private di italiano a un ragazzo di cui è segretamente innamorato, il bambino, ormai adulto, capisce di essere un rifugiato sentimentale, sempre alla mercé di un amore che si fa ossessione e frenesia e di un tempo interiore che passa dal “fu” al “sarà” in un batter di ciglia. È sulla sua panchina assolata nel parco di Villemanzy – meta di interminabili passeggiate da flâneur contemporaneo – che il protagonista vive la propria epifania: nemmeno l’amore è un assoluto senza incrinature e diventa parodia di se stesso, perché ogni amore è furioso e insieme ridicolo. Un romanzo inusuale e delicato, divertente, che si snoda con eleganza a partire da uno sguardo eccentrico e anticonformista
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